giovedì 7 febbraio 2008

L'etica socialista, oggi, non si perda per strada

Recenti dibattiti ed eventi socio-politici hanno reso palesi i sintomi di un problema che si avverte oramai chiaramente in alcuni settori dei partiti socialisti a livello internazionale e a cui molti socialisti sentono il bisogno di porre rimedio: si fa strada la tendenza a liquidare le questioni morali affidandosi alla totale discrezionalità dei singoli (confondendo la libertà nel suo più alto significato con la mera licenza) o proponendo soluzioni che hanno il carattere di semplici contrapposizioni iconoclaste. Sono entrambe inclinazioni che rischiano seriamente di storpiare la storia autentica del pensiero socialista, nella misura in cui eliminano la sua attitudine di forza attiva dal punto di vista etico, che nacque per tendere al rinnovamento morale dell'umanità e che proprio in questa ottica inseriva come prioritario ed essenziale il suo rinnovamento materiale. Facciamo riferimento al dibattito politico attuale. I socialisti devono essere in prima fila nella promozione di politiche di sostegno della famiglia. La famiglia rappresenta quanto di più socialista possa esserci e in fondo, se ci pensiamo, è la più antica e fondamentale forma di welfare. Ciò non preclude affatto l'impegno, ad esempio, per il riconoscimento di modalità diverse di tutela giuridica per le unioni fra persone dello stesso sesso che condividono la propria vita e si supportano mutualmente. Ma non ci si muova in una logica che possa anche solo apparire di opposizione alla famiglia fondata sul matrimonio, pena l'approdo a derive che rischiano di offendere prima di tutto il buon senso. E' di pochi giorni fa la notizia che in Inghilterra il ministro laburista per la scuola e l'infanzia Ed Balls ha deciso di imporre nelle scuole elementari l'uso dell'espressione "genitori" al posto di "mamma e papà", con l'intenzione di evitare lesioni dei diritti delle persone omosessuali e per abituare i bambini all'idea che ci possano essere genitori dello stesso sesso, oltre che per arginare il bullismo nelle scuole. Se il sostantivo "genitore" e il verbo "generare" hanno ancora un significato, va da sè la precedente affermazione riguardo l'offesa del buon senso.

Graziano Moramarco

giovedì 31 gennaio 2008

Radici proudhoniane: il Socialismo come culto della Giustizia

"Ci avviamo a una trasformazione religiosa, o a un riassorbimento della religione nella Giustizia?.... La certezza morale comprende in sé e fornisce la certezza speculativa; e la scienza del diritto diverrà perciò la chiave della scienza della natura; e la Giustizia, infine, dovrà forse essere considerata come la ragione e la realtà suprema (...) il Dio che regge il mondo della coscienza (...)?
... qual è il principio fondamentale, organico, regolatore supremo delle società; il principio che, subordinando a sé tutti gli altri, governa, protegge, reprime (...)?
...Questo principio, secondo me, è la Giustizia.
Che cos'è la Giustizia? - L'essenza dell'umanità.
Che cos'è stata la Giustizia fino ad ora, a partire dall'inizio del mondo? - Quasi nulla.
Che cosa deve diventare?
Tutto.

.... Se è vero che la Giustizia è innata nel cuore dell'uomo, non ne consegue che le sue leggi siano state fin da principio determinate con chiarezza, e per tutte le categorie d'applicazione; solo poco a poco noi ne acquistiamo l'intelligenza, e la loro formulazione ci costa un lungo travaglio (...)"

(da P.J Proudhon, De la Justice dans la Révolution et dans l'Eglise, introduzione, 1858)

giovedì 24 gennaio 2008

Il socialismo religioso: una lunga strada che porta oltre l'orizzonte

Il socialismo religioso non è un fenomeno irrilevante o avulso dalla storia del movimento socialista. E' una presenza significativa, un lievito che anima, fin dalle origini, il pensiero e l'esperienza di una delle più nobili speranze umane, e che mantiene un'assoluta attualità (il presente, del resto, è compreso nell'Eterno, a cui si volge l'anima religiosa).
Pierre Leroux, colui che per primo, pare, utilizzò il termine socialisme nel 1830, credeva alla centralità della vita religiosa per una trasformazione etico-sociale del mondo: una visione materialistica - questa l' intuizione del "padre fondatore" - non riuscirà a introdurre e a preservare una socialità autentica, alta, perché solo sul piano dello spirito si può vincere la propensione naturale alla sopraffazione e alla separatività. Basta consultare il sito degli amis de Pierre Leroux per trovare i links con quelli che ospitano, anche in riproduzione anastatica, alcuni dei suoi testi più significativi. Oltre cento anni dopo, Aldo Capitini, che con Guido Calogero fondò il movimento liberalsocialista durante il fascismo (sarebbe davvero utile, in questi tempi in cui si sproloquia di liberalsocialismo, leggere il manifesto del movimento, intriso di tensione religiosa e rigore etico, non certo di lassismo), avrebbe ribadito e approfondito questa idea in libri quali Religione aperta e Il potere di tutti. Capitini va oltre: identifica nella morte l'ingiustizia definiva e fonda una sorta di socialismo cosmico in quella che suggestivamente definisce la compresenza dei morti e dei viventi. Sperare nella vittoria di tutte le anime, umane e subumane, sulla morte, è per lui l'utopia suprema, che allarga e autentica gli orizzonti del socialismo terreno. E, a proposito di utopie, notevole fu la cifra religiosa, variamente declinata, nel socialismo utopistico come quello di Owen e Fourier, e negli esperimenti comunitari tentati dai discepoli di Tolstoj in Russia, o di Adin Ballou, membro della Chiesa Universalista, in America.
Dunque, il socialismo è marcato dalla spiritualità alla nascita e venato da essa durante tutto il suo cammino. L'elenco delle presenze religiose e dei loro contributi al patrimonio socialista è impressionante, e decisamente sottovalutato dalla generalità degli storici. Impegnati in comunità ecclesiali erano molti tra i "probi pionieri di Rochdale" che fondarono nel 1844 la prima cooperativa (una quota significativa di loro apparteneva alla Chiesa Unitariana, erede della nobile "eresia" sociniana che insisteva sulla divina umanità di Gesù e su una visione razionale della religione); molte riunioni laburiste e tradeunioniste inglesi avevano luogo, agli esordi, nelle halls delle Chiese Metodiste e Congregazionaliste, e non secondaria fu la testimonianza socialista tra i gloriosi Valdesi; Carlo Cafiero, tra i fondatori della Prima Internazionale in Italia e autore di un celebre Compendio de "Il Capitale" di Karl Marx, verso la fine della sua sofferta esistenza si avvicinò - provenendo dall'anarchismo - al socialismo "legalitario" di Andrea Costa, padre del Partito Socialista Italiano, e contemporaneamente, pur nei veli di una malattia mentale che era il segno della sua sensibilità trafitta dall'ingiustizia, si aprì alla trascendenza, all'Oltre divino (una sorta di avanti! metafisico, si potrebbe dire); cospicua la presenza di socialisti nel risveglio neo-gnostico che ebbe luogo in Francia a fine Ottocento; la "società cristiana" pensata dal grande scrittore anglicano Clive Staples Lewis, come si legge nel suo Mere Christianity, doveva essere una sintesi di economia socialista e temperanza dei costumi (perché solo il senso del limite e la sobrietà sono compatibili con una vera socialità, altro che "la Milano da bere"). In Italia, militò tra i socialisti Ignazio Silone, spirito religioso inquieto, a lungo vicino ai cattolici non-papisti della Confernza Episcopale Vetero-Cattolica di Utrecht, ma nel P.S.I. furono attivi non pochi cattolici romani, e non parlo di quelli - la maggioranza, oggi - nominali, ma di quelli seriamente impegnati in parrocchie e comunità di base, parte dei quali confluì nei cristiano-sociali, aderenti all'International League of Religious Socialists, che fa parte dell'Internazionale Socialista.
Il fenomeno è universale: ben nota è l'esperienza dei kibbutznik religiosi tra gli Ebrei di Israele; vi sono consolidati filoni socialisti nell'Islam; uno dei più attivi riformatori indiani del decenni scorsi, a capo del movimento cooperativo gramdan, fu l'indù Vinoba Bhave, un discepolo del Mahatma Gandhi; lo zoroastriano Dadabhai Naoroji, il grande vecchio della nazione indiana - fu lui a coniare il termine swaraj, autogoverno - partecipò ai lavori dell'Internazionale Socialista. L'anelito alla giustizia aveva del resto una tradizione millenaria nella religione zoroastriana: la più antica rivolta socio-religiosa in direzione dell'equità economica fu quella capeggiata da Mazdak tra il V° e il VI° secolo d.C.
In Italia, oltre al liberalsocialismo di Calogero e Capitini (1937), possiamo ricordare il socialismo mazziniano di Parmentola, Belloni e altri (1955): anche se laico - molti mazziniani non aderiscono a una specifica religione e coltivano uno spirito razionalista, ancorché Mazzini fosse un romantico, quasi un mistico dela politica - il gruppo evidenziava le implicazioni sociali di colui che nei Doveri dell'uomo definisce l'associazione - di cui la forma cooperativa è l'espressione economica - come la "parola d'ordine" religiosa del'avvenire, la chiave per superare i limiti etici della carità paternalistica, affermare la dignità umana e costruire una realtà comunitaria equa e libera (per questo egli combatté il socialismo marxista, profetizzandone le degenerazioni burocratiche e deprecando il suo ateismo come incapace di motivare e reggere lo spirito sociale, e si distanziò anche dal socialismo utopistico, al quale imputava una visione precostituita, quindi statica e disfunzionale delle dinamiche socio-politiche).
Etica e religione quasi coincidono nell'ideale associazionista mazziniano, che ben possiamo includere, oggi, tra le forme di socialismo religioso; e proprio seguendo questa identificazione di un retroterra religioso in ogni etica autentica, possiamo rilevare tracce spirituali perfino nel pensiero di quei "padri" del socialismo che si proclamarono atei (Marx) o antiteisti (Proudhon): certo non manca un afflato cripto-religioso nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, là dove Marx immagina il recuperò dell'integrità creativa dell'homo faber liberato dall'alienazione del modo di produzione capitalista, o nel De la Justice... di Proudhon, che definisce la giustizia "il dio della coscienza" e mostra di voler consacrarsi ad essa, come d'altronde aveva già fatto nell'introduzione a De la Proprieté.
Questa carrellata storica è davvero contratta e inadeguata, ma da questi pochi riferimenti possiamo cogliere la varietà e la caratura del socialismo religioso e l'intrinseca religiosità del socialismo senza aggettivi. Si potrebbe dire che l'ideale socialista rappresenta il "lato orizzontale" di Dio (o del "sacro", se si preferisce un approccio meno teista); in esso, come in una anticipazione di quell'éschaton, di quella trasformazione della vita cosmica alla quale aspirano molti menti religiose, sono riscattati tutti gli oppressi, i malati, i dimenticati (ma non da Dio, mai), coloro che hanno lavorato onestamente e sofferto attraverso una miriade di generazioni, quelli che verranno con buone intenzioni e con una speranza. La stessa degli antichi Profeti, di Carlo Cafiero (che, prima di morire, voleva volare, perché il Socialismo ha le sue radici in Cielo, nelle Altezze), di Camillo Prampolini, di Aldo Capitini: "Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto (...), perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà fatta così non merita di durare, (...) e io mi apro a una sua trasformazione profonda, a una sua liberazione dal male... si tratta di mettere il socialismo in rapporto con una vita etico-religiosa, un'interiorità, sentimenti, idee, prassi che investano tutta la liberazione dell'umanità, (...) della realtà" (Religione aperta, pp. 12-12, 207)

Michele Moramarco